Roberto Ambrosoli ci ha lasciati lo scorso 7 aprile. L’epidemia che sta flagellando il mondo se l’è portato via.
Aveva 78 anni. Era approdato all’anarchismo giovanissimo. Era milanese, ma a Milano rimase sino agli anni del liceo, dove strinse un legame destinato a durare con Amedeo Bertolo, con i quale divise i banchi di scuola e, successivamente, il percorso anarchico dei GAF, i Gruppi Anarchici Federati.
La scelta anarchica maturò definitivamente a Napoli, dove si era trasferito con la famiglia prima di arrivare a Torino, dove lo sospingevano i percorsi lavorativi del padre. A Torino trascorrerà tutto il resto della sua vita.
Nel 1962 assieme ad un altro giovane compagno, Gerardo Lattarulo, fonda il gruppo Gioventù Libertaria, che nei primi anni Sessanta dà nuovo impulso al sonnecchiante anarchismo torinese. Questo primo nucleo sarà il ponte per i giovani anarchici che numerosi approderanno all’anarchismo negli anni Settanta.
Resta saldo il legame con Bertolo e con il gruppo che parallelamente nasce a Milano. L’analisi delle “tre classi” e l’obiettivo dell’integrazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale sono il collante che porterà alla nascita, nel 1970, dei GAF.
A quell’epoca Gioventù Libertaria diventa il Gruppo Azione Anarchica, che si scioglierà per esaurimento dell’esperienza nel 1986. Il gruppo, la cui prima sede era all’interno del Circolo “Eliseo Reclus” di via Ravenna, si trasferisce nel Circolo “Berneri” di Corso Palermo nel 1982. Alla fine degli anni Settanta le diverse valutazioni sulla lotta armata provocarono una spaccatura nel movimento anarchico e anche all’interno del Circolo “Reclus”, che portarono a percorsi divaricati anche compagni che per anni avevano condiviso percorsi di analisi e di lotta. Roberto fu tra gli animatori dello scontro politico contro i fautori della lotta armata clandestina e di minoranza, sostanzialmente avanguardista, schierandosi con i sostenitori dell’azione diretta degli oppressi e degli sfruttati.
All’inizio degli anni Novanta Roberto si allontana dalla partecipazione attiva, pur rimanendo anarchico sino alla fine.
L’esperienza dei GAF si costituì sull’analisi della tecnoburocrazia. Nella classica dicotomia tra classe dominante e classe dominata, i GAF vedevano il delinearsi della classe emergente, che in quest’epoca è costituita dalla tecnoburocrazia, il cui potere non si fonda sulla proprietà privata ma su quella delle conoscenze atte a gestire la società.
La nuova classe, già trionfante nella galassia sovietica, si stava affermando nei paesi occidentali per l’intervento dello Stato nell’economia e per la polverizzazione della proprietà nelle società per azioni, che rendeva centrale il ruolo dei manager.
I GAF erano una federazione di affinità, il cui legame era in questa tesi di fondo.
Roberto si gettò a capofitto in quest’avventura intellettuale e politica e fu tra gli autori, con Bertolo, Lanza, Berti e Finzi di “Anarchismo ‘70 – un’analisi nuova per la strategia di sempre”. Era palese la volontà di rinnovare non tanto le pratiche e gli obiettivi dell’anarchismo, quanto la “fotografia” della realtà.
Roberto si unisce con Elvira. Nascono due figli: Daniele e Alessandro.
La gravidanza di Elvira era quasi al termine, quando arriva la telefonata che annuncia la morte di Giuseppe Pinelli, ucciso dalla polizia nei locali della Questura di Milano. Era la notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969. Le doglie arrivano in anticipo: quella stessa notte nasce il loro secondo figlio.
La strage di Stato rappresenta una cesura per l’anarchismo di lingua italiana. Progetti importanti maturati nei periodo immediatamente precedente finiscono in soffitta, perché tante energie verranno assorbite dalla campagna per la strage di Stato. I soldi raccolti per il progetto di una comune serviranno a dare l’avvio alla nascita di A rivista anarchica, cui Roberto collaborò a lungo con lo pseudonimo di R. Brosio.
La comune, progetto di vita e produzione, non era una deriva hippie di Roberto, Amedeo e di altri compagni e compagne. Per loro la comune avrebbe dovuto essere una sperimentazione volta a dimostrare la possibilità di sottrazione dal capitalismo, la cui estensione avrebbe potuto mettere in difficoltà i meccanismi dello sfruttamento e del dominio.
Quella notte di dicembre del 1969 cambiò tutto.
A Torino, in Gioventù anarchica e poi in Azione anarchica Roberto e Gerardo saranno, oltre che compagni di lotta, anche amici, in una commistione inusuale, specie per l’epoca, che solo il sale dell’anarchia poteva mantenere salda.
Non potevano essere più diversi. Borghese, intellettuale, fine dicitore l’uno, sottoproletario dai tanti mestieri sempre in nero, sempre ai margini tra legalità e illegalità, l’altro. Attivo ma con una costante vena di disincanto l’uno, rigoroso in modo maniacale nell’impegno politico e sociale l’altro. Di nessuno dei due si potrebbe mai affermare che fosse stato toccato dall’incipiente ondata femminista.
Chi ha attraversato gli anni Settanta dell’anarchismo torinese sa che intorno a questa coppia inedita crebbe un gruppo in cui tanti erano operai.
Manifestazioni, volantinaggi, affissioni di manifesti e tante discussioni. La sede di via Ravenna era sempre aperta per le riunioni dei vari gruppi: ogni sabato sera c’erano incontri aperti, cui tutti potevano partecipare.
Sino al 1979 Roberto fu tra i principali animatori della redazione di Interrogations, rivista anarchica quadrilingue. La sede di Interrogations, fondata due anni prima da Luis Mercier Vega, nel 1976 passò a Torino. Interrogations ebbe un ruolo importante nella riflessione politica e culturale dell’epoca.
Dal 1979 al 1986 Roberto fece parte della redazione delle edizioni Antistato: il gruppo torinese ne curava l’amministrazione e la distribuzione.
Fu tra gli organizzatori dell’Incontro anarchico internazionale “Venezia 84”. Collaborò a Volontà, rivista teorica quadrimestrale, che contribuì ad alimentare la riflessione di quell’area dopo lo scioglimento dei GAF.
La riflessione di Roberto negli anni Ottanta cercava nuove strade per l’anarchismo dopo la sconfitta dei movimenti del decennio precedente, individuando in un anarchismo più esistenziale, volto alla trasformazione delle relazioni e della cultura l’humus in cui avrebbe potuto attecchire un processo di cambiamento più radicale. Di fronte all’emergere di un anarchismo ecologista, sviluppò una riflessione sulla natura come costruzione culturale in opposizione alle teorie della deep ecology, che trovavano spazio anche in ambiente anarchico. Le sue tesi fecero da contrappunto a quelle di Clark e all’ecologia sociale di Bookchin.
Le sue caricature, i suoi disegnini irriverenti, segnavano i vari momenti della vita sia al circolo anarchico “Elisee Reclus”, sia al Circolo “Berneri”. Su A rivista uscirono le strisce di Anarchik, il nemico dello Stato, una sorta di alter ego di Roberto. L’immagine stereotipa dell’anarchico propagandata dai suoi detrattori, viene ripresa e capovolta con fine ironia.
In questi ultimi anni sono uscite nuove vignette, dove per la prima volta Roberto rappresenta anche se stesso, ormai anziano. È il suo addio all’anarchico che era stato, l’ultima cifra di un disincanto che l’aveva allontanato dalla partecipazione attiva al movimento. Ma, insieme, anche il segno di una passione che non si era mai spenta.
Quando ho conosciuto Roberto ero un ragazzino imberbe appena approdato all’anarchismo. Era l’ormai lontano 1973 ed io avevo 15 anni. Con lui ho condiviso i miei primi passi nell’avventura che sarebbe stata quella di tutta la mia vita. Ai tempi di Interrogations e dell’Antistato ci vedevamo quasi tutti i giorni. Se capitava che non ci incontrassimo, passavamo almeno una mezz’ora al telefono a parlare delle cose da fare, di politica e delle nostre vite.
Il mio percorso anarchico è oggi diverso da quei primi anni. Anni che tuttavia hanno contribuito a farmi diventare quello che sono adesso. Anche grazie a compagni come Roberto.
Emilio Penna